Praticare le “forme” o Taolu” servono per il combattimento?

Riprendiamo il concetto di veridicità ed efficacia nella pratica del Kung Fu in combattimento, in relazione tra passato e un futuro prossimo. Articolo redatto e tradotto dal Maestro Eduardo Tobia della Scuola Longmen, facente parte dell’associazione Longzhao del Maestro M. Zanetti.

Con il continuo progresso della società e l’intensificarsi dei rapporti internazionali, l’incessante esterofilia ha influenzato enormemente il pensiero delle persone cinesi di oggi, in special modo la generazione nata tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Una buona parte di questi ritiene, infatti, che tutto ciò che proviene dall’esterno sia migliore, in tutti gli ambiti.

Il settore delle arti marziali non è dissimile dagli altri settori, perciò si sente sempre più spesso dire che il Pugilato, la Boxe thailandese o il Brasilian Jujutsu siano tutti sistemi di combattimento molto buoni e che le arti marziali tradizionali cinesi non siano efficaci e che ingannano addirittura le persone che le praticano.

Dopo la fondazione della nuova Cina (1949) non era permesso parlare di combattimento, né tantomeno si poteva insegnare a combattere, così la maggior parte degli insegnanti che si sono formati in quel periodo non sanno combattere, non sanno spingere, non sanno lottare, ma sono capaci soltanto ad allenare i taolu. Non è mia intenzione parlare dei maestri di Wushu, ma posso affermare che la maggior parte degli istituti di Wushu oggi sono in questa maniera. Normalmente chi pratica lotta, inizia subito ad allenarsi in questo senso, chi pratica combattimento allena sin dall’inizio il lavoro corpo-a-corpo, mentre chi pratica Wushu allena sempre ed esclusivamente i taolu.

La conoscenza migliore viene dalla pratica, si dice, dunque allenarsi tutta una vita nel Wushu senza allenare il combattimento rimarrà sempre una cosa inutile.

In tempi passati per chi si allenava nelle arti marziali il confronto attraverso il combattimento era una pratica quotidiana. Si poteva combattere in modo gentile senza farsi del male, ma anche in modo non gentile con l’intenzione di danneggiare l’avversario. Il maestro Li Yulin diceva spesso a chi veniva a sfidarlo: “Se non ci si colpisce in faccia e non ci si calcia nelle parti basse, allora si può imparare l’uno dall’altro in modo amichevole. Ma se vuoi colpirmi in faccia e calciarmi nelle parti basse, allora non avrò nessuna pietà di te”.

Un tempo si diceva “tre anni di forme non possono vincere tre anni di lotta”. Oggi si potrebbe dire che dieci anni di forme non possono vincere nemmeno un anno di boxe, di sanda o di semplice combattimento libero. Questo perché chi si allena in queste discipline quotidianamente fa esperienza di combattimento, mentre noi che ci alleniamo nel Wushu quotidianamente alleniamo soltanto i taolu, per cui non c’è confronto che tenga.

Il mio maestro diceva spesso: “Se non alleni quello stile non conoscerai mai la forza di quello stile”. Così io, parafrasando il mio maestro, dico: “Se non sai combattere, non parlare di combattimento; se non sai lottare non parlare di lotta e se non sai spingere non parlare di spinte”.

Ci sono alcuni che allenano il Taijiquan, ad esempio, che fanno delle performance davvero incredibili, ribaltando gli allievi a destra e a sinistra in modo formidabile, ma quando si parla di vero gongfu, anche limitatamente al tuishou non reggono nemmeno un colpo, questo perché il loro è un falso spingere. 

Bisogna distinguere chiaramente il fare dimostrazioni dalla pratica vera. Una dimostrazione serve a far vedere qualcosa alle persone che non capiscono nulla di forza. Una dimostrazione si può usare dunque per dimostrare le tecniche e l’efficacia del tuishou, ma se si vuole sul serio allenare il gongfu, allora non si può utilizzare lo stesso approccio della dimostrazione. Quando l’avversario spinge in dimostrazione (…) il suo spingere è vuoto e disordinato. Tutto questo è solo spettacolo, in questo modo non si allenerà mai il gongfu.

Il combattimento ha i suoi metodi di allenamento. Gli stili interni e gli stili esterni cinesi hanno le proprie tecniche, così come i metodi occidentali hanno le proprie. Non importa quale metodo si stia imparando, tutti hanno la parola “coraggio” di fronte: coraggio di colpire, coraggio di rischiare, coraggio di non arrendersi. Questo è quello che si dice “spirito che non teme la morte”.

Se si vuole combattere, innanzi tutto non bisogna aver paura di farlo. Occorre anzitutto allenare costantemente i metodi di irrobustimento del corpo come il Lavoro della testa di ferro (tie tou gong), il lavoro dei muscoli di ferro (tie jin gong), il lavoro delle braccia di ferro (tie bi gong), etc. Solo dopo aver allenato questi metodi si può pensare di affrontare un avversario. Se non si riesce a resistere ai colpi allora non si può salire sul leitai.

Oggi moltissimi atleti non hanno mai sperimentato il vero gongfu nel combattimento reale, né sul leitai né sulla strada e non riuscirebbero a picchiare nemmeno un teppistello. Figuriamoci se andassero sul ring contro un boxeur o un lottatore di sanda.

Il vero gongfu è davvero raro. Il gongfu ha sempre avuto dei segreti che i maestri non rivelano facilmente. Perciò si dice: “si preferisce insegnare dieci tecniche piuttosto che dire una sola parola“. La ragione di tutto questo risale al fatto che anticamente il gongfu era una disciplina molto difficile da apprendere,

quindi nella trasmissione i vecchi maestri erano molto cauti e circospetti. I vecchi maestri prima ispezionavano la condotta morale degli allievi e poi controllavano se questi avevano o no ottenuto miglioramenti nell’arte.

Io, ad esempio quando una volta scrissi un articolo intitolato La pratica del palo nello Xingyiquan, venni redarguito dal mio maestro, il quale mi criticò dicendo: “Le persone nemmeno dopo una vita di allenamento riescono a capire cosa sia il Wushu e tu vorresti spiegare loro “il lavoro del palo”? Una volta capito le persone ti continueranno a disprezzare, allora a cosa sarà servito? Non dovrai più scrivere questo genere di articoli. Mio padre vendette la terra e spese i soldi di famiglia per farmi capire cosa fosse il Wushu. E tu che fai? Te ne vai in giro a parlare per mio conto”.

Il mio maestro mi diceva che Guo Yunshen si allenava colpendo con il pugno bengchui un sacco di sabbia da 400 chili. Oggi chi si allenerebbe così? Quando Guo Yunshen fu imprigionato, ogni giorno si allenava sbattendo il palmo contro il muro. Oggigiorno chi vorrebbe dedicarsi a questo tipo di pratica? Le vecchie generazioni di praticanti ogni giorno si allenavano dalle sei alle otto ore. Oggi nessuno più lo farebbe. In conclusione, se le arti marziali tradizionali cinesi vogliono competere con gli sport da combattimento occidentali, bisogna prima che ci si dedichi al combattimento. Allenare solo i taolu è soltanto un modo per fare attività fisica, ma questo allenamento non ha nulla a che fare con il vero combattimento, con il vero tuishou o con la vera lotta.

Articolo scritto e tradotto dal Dott. Eduardo Tobia, Maestro della Scuola Longmen di Terni (TR)