La Quercia e il Salice. Distinguere la forza dalla potenza nel Taijiquan.

A volte i praticanti chiedono quale sia il “segreto”, la vera essenza che distingue un movimento semplicemente eseguito, da uno realmente vissuto. La domanda, spesso, si concentra sulla difesa personale ed è questa: “Come può un movimento così lento e morbido essere efficace contro un’aggressione improvvisa e violenta?” La risposta non risiede in una tecnica segreta, ma in una diversa comprensione del proprio corpo e della forza che può generare. La differenza è la stessa che passa tra urlare e parlare con autorevolezza: non è il volume a contare, ma la sostanza. È la differenza tra usare la forza bruta, che in cinese chiamiamo Li, e manifestare la potenza interna, il Jin.
Immaginate un albero, una vecchia quercia con radici profonde come nell’immagine qui sopra. Se provate a spingerla con tutta la vostra forza muscolare, cosa accade? Vi scontrate contro una massa inerte. La vostra energia si infrange contro la sua solidità. Questa è la forza Li contro altra forza Li. È uno scontro di volontà, dove solitamente vince chi è più grosso, più pesante, più forte. È uno sforzo rigido, che nasce dalle spalle e dalle braccia, che contrae i muscoli e svuota rapidamente le energie. Quando usate la forza muscolare, siete come quella persona che spinge l’albero: isolate una parte del vostro corpo e la lanciate contro l’ostacolo. Finite subito senza fiato, e la vostra struttura è compromessa e sbilanciata.
Ora, immaginate un’altra scena. Un aggressore vi afferra un braccio con violenza, cercando di tirarvi a sé. L’istinto, nutrito da una vita di reazioni basate sulla forza Li, sarebbe quello di opporre resistenza, di tirare nella direzione opposta. Sarebbe come giocare al tiro alla fune, e se l’altro è più forte, avete già perso. Il vostro equilibrio è già suo.
Qui interviene il Jin. Invece di opporre resistenza, per un istante, si cede. Non è una resa, ma un ascolto. È come quando appoggiate l’orecchio a un binario per sentire se il treno sta arrivando. Cedendo, non offrite un punto di appoggio solido alla forza dell’aggressore. La sua energia, non trovando un muro su cui schiantarsi, prosegue la sua corsa, come un pugno che va a vuoto, ed è in quell’istante che il suo equilibrio è precario.
Mentre questo accade, il praticante di Taijiquan non pensa a “tirare indietro il braccio”. Pensa a “radicarsi”. I piedi diventano come le radici della quercia, non rigide, ma vive, che affondano e si aggrappano al terreno. Il corpo si rilassa, le articolazioni si liberano, soprattutto le anche e la vita (il nostro Dantian). La forza dell’aggressore, che sta tirando il vostro braccio, non viene più contrastata solo dal vostro bicipite, ma viene assorbita da tutto il vostro corpo e scaricata a terra attraverso le vostre radici. Siete diventati come un salice flessibile che, invece di spezzarsi sotto il peso della neve, si piega, la lascia scivolare a terra e poi torna su, più elastico di prima.
A questo punto, la potenza interna, il Jin, può manifestarsi. Non è una spinta delle braccia. È un’onda che nasce dai piedi. È la terra stessa che, attraverso la vostra struttura corporea unificata e rilassata, spinge. La vita, come un perno, dirige questa onda, e le braccia sono solo l’ultimo anello della catena, la frusta che schiocca alla fine del movimento. La forza non è più vostra, ma è una forza che avete preso in prestito dalla terra e dall’energia stessa dell’aggressore.
Pensate a una pompa d’acqua manuale. Non create l’acqua, ma con il giusto movimento ritmico, la fate salire dal pozzo. La forza muscolare (Li) è come provare a prendere l’acqua a manate: uno sforzo immenso per un risultato misero. Il Jin è usare la meccanica della pompa: un’azione intelligente, coordinata, che sfrutta i principi fisici per generare una potenza enormemente superiore allo sforzo impiegato.
In una situazione reale, questo si traduce in un’azione che all’esterno appare piccola, quasi insignificante, ma che ha un effetto devastante sull’equilibrio dell’altro. Non c’è bisogno di caricare un pugno, di contrarre i muscoli del petto. La potenza è già lì, sotto i vostri piedi. Si tratta solo di permetterle di fluire attraverso un corpo che ha imparato a non creare ostacoli, a non essere rigido.
La pratica lenta e meticolosa della “Forma o Taolu” del Taijiquan serve proprio a questo: a disimparare la nostra abitudine a usare la forza Li e a educare ogni singola parte del corpo a lavorare come un’unità coesa. Impariamo a essere come l’acqua, che non ha forma propria ma si adatta a ogni contenitore e può, con il tempo, erodere la roccia più dura. Non perché si scontri con essa, ma perché la avvolge, la penetra, la segue, fino a trovarne il punto debole. La prossima volta che vedrete qualcuno praticare Taijiquan, non guardate le mani. Guardate i piedi, osservate la quiete mobile della vita. È lì che risiede la differenza tra un guscio vuoto e una sorgente di potenza. È lì che la forza muscolare si arrende, per lasciare spazio a qualcosa di molto più profondo e duraturo. Praticare in modo cosciente, aiuta a capire e migliorare giorno dopo giorno.
Vieni a trovarci e prova.
